domenica 13 novembre 2016

UN POVERO UOMO SOLO E ABBANDONATO

 
Il Maestro Giuseppe Verdi di Busseto, sul letto di morte.  
Noi siamo tutti contaminati e avvelenati da questa immagine della grandezza, perché noi stessi, presi come siamo, dal nostro amor proprio, non pensiamo ad altro che a metterci in vista, ad eclissare gli altri facendo parlare di noi.
Gesù ci introduce ora nella vera grandezza. Mette dell'acqua in un catino, si cinge di un grembiule, si mette in ginocchio davanti a loro, lava loro i piedi, facendo il gesto che gli stessi schiavi degli Ebrei avrebbero rifiutato ai loro padroni.


BUSSETO - Qui, il 4 maggio 1814, Giuseppe Verdi si unì in matrimonio con Margherita Barezzi.
Dopo un breve viaggio di nozze a Milano la coppia tornava a Busseto e si stabiliva al Palazzo Tedaldi, dove Margherita diede alla luce Virginia (26 marzo 1837) e Icilio Romano (11 luglio 1838), i due figli che Verdi vede prematuramente morire, seguite a breve distanza di tempo dalla scomparsa della giovane moglie Margherita. Aveva 26 anni.
Margherita, aveva una casa in Busseto. L'ha venduta, ed ha destinata una parte di quella somma per far delle pensioni in perpetuo a diversi poveri di Busseto.
...Si trasferisci col marito e due figlioletti a Milano prendendo una piccola casa in periferia in affitto
 
Milano - Le tre Bare. Giuseppe Verdi scrive:
"Io abitavo in allora un modesto e piccolo quartiere nei pressi di Porta Ticinese, ed avevo meco la mia famiglia, la mia giovane moglie Margherita Barezzi, cioè, e due figlioletti. Ma qui cominciano gravi sventure: il mio bambino si ammala al principio di Aprile: i medici non riescono a capire quale sia il suo male, ed i...l poverino languando si spegne, nelle braccia della madre disperatissima. Né basta: dopo pochi giorni la bambina cadi a sua volta malata!... e la malattia ha pure un fine letale!... ma non basta ancora: ai primi di giugno la giovane mia moglie è colpita da violenta encefalite ed il 19 giugno 1840 una terza bara esce da casa mia!... Ero solo!... solo!... Nel volgere di circa due mesi tre persone a me care erano spariti per sempre".

LA DOPPIA PERSONALITÀ DI GIUSEPPE VERDI
A sette anni, Giuseppe Verdi aveva già un carattere definito e ricco di contrasti. Sulle prime ha l'aria di essere un bambino tranquillo, docile. Le rare testimonianze in nostro possesso circa la sua infanzia lo descrivono piuttosto come taciturno e chiuso, "selvatico" e "solitario".
Tuttavia, questo ragazzino tranquillo può all'occasione mostrarsi soggetto ad accessi di collera, a volte determinati da cause futili, e nutrire un rancore tenace verso coloro che gli hanno fatto torto, come testimonia un episodio riportato da tutti i biografi di Verde e che egli stesso non si stancava di raccontare: Un mattino - aveva compiuto sette anni - Giuseppe serviva messa insieme a don Masini. Distrattosi al suono dell'organo, non udì che il parroco lo pregava di passargli le ampolle. Inferocito, quest'ultimo diede un calcio al ragazzino, facendogli perdere l'equilibrio e mandandolo bocconi sull'altare. Mortificato, il giovane Verdi gridò alla volta del parroco, in dialetto: "Dio t'imanda 'na sajetta!" ("Che Dio ti fulmini!"). La questione, a detta di Verdi, suscito un piccolo scandalo in tutto il villaggio. Qualche anno più tardi, quando nel corso di un violento temporale un fulmine si abbatté sulla chiesa della Madonna dei Prati all'ora, uccidendo sei persone: due coristi e quattro preti. Don Masini era fra le vittime e se Verdi, che doveva cantare nel coro, non ebbe a rischiare di essere colpito, fu solo a causa del ritardo con cui giunse in chiesa. Secondo il racconto che farà più tardi a De Amicis, dirà: "era seduto al posto dove l'aveva colto il fulmine, in atto di prender tabacco, il pollice premeva ancora la narice, come vi fosse attaccato. Il viso annerito faceva paura".

L'AUTUNNO 1898 fu segnato a Sant'Agata da un avvenimento drammatico, rimasto misterioso. Giuseppina Belli, una giovane dipendente, rimasta uccisa da un colpo d'arma da fuoco mentre usciva dalla cucina per servire il caffè. Chi aveva sparato? I sospetti si addensarono subito su Angiolino Carrara, il figlio di Maria, dunque nipote adottivo di Verdi. Il ragazzo aveva diciassette anni. Inizialmente negò, poi ammise che di ritorno dalla caccia aveva lasciato il fucile su un tavolo e, dimenticando che era carico, l'aveva ripreso per pulirlo. Malauguratamente il colpo era partito proprio nell'istante in cui Giuseppina passava in corridoio, uccidendo la ragazza.
I carabinieri e i giudici furono poco convinti, a quanto pare, dalla tese dell'incidente. In mancanza di prove, il tribunale condannò Angiolino a una pena leggera - cinque settimane di prigione e un'ammenda simbolica di una quarantina di lire - subito condonata dal re. La vicenda ebbe una qualche eco sulla stampa, ma fu rapidamente messa a tacere. In ogni caso non impedì al maestro Verde di festeggiare il suo ottantesimo compleanno alla villa in compagnia dei Carrara e degli amici più cari.